Bahia Guayraca
Questa mattina ci siamo armati di scarpe, machete e repellente antizanzare ed insieme ad un gruppo di amici siamo andati a fare un giro nel bosco dietro alla baia in cui sussistono delle rovine precolombiane degli indiani autoctoni.
Accompagnati da Rinaldo, una guida locale che abita in una casetta sulla spiaggia, partiamo in spedizione. Siamo sul lato costiero del parco naturale di Tayrona, una distesa enorme di foreste e montagne popolata da scimmie nane, tigrilli, pappagalli, iguana ed altri animaletti esotici.
Ci addentriamo attraverso un sentiero che assomiglia un poco a quello dei nostri boschi di collina e cominciamo a capire che qui viveva un’importante comunità india che aveva un culto della morte alquanto particolare.
I morti venivano seppelliti adagiandoli su una sorta di piano inclinato in prossimità di un albero e ricoperti di terra. Durante la cerimonia funebre venivano, a seconda del loro ceto sociale, accompagnati da cibo, frutta e gioielli. Va ricordato che qui siamo nella zona del “El Dorado” e dei cercatori d’oro e fin dai tempi gli indios avevano sviluppato una grande abilità orafa.
Così venivano realizzati vari ornamenti con forme di animale e simboli sacri utilizzati in vita e rimessi al defunto durante la cerimonia.
Qualche anno più tardi i defunti venivano riesumati ed i resti raccolti in un’urna funeraria che veniva sepolta nei dintorni della casa.
L’urna conteneva gli ori e gli oggetti cari della persona.
E’ così che scopriamo che Rinaldo è quello che da noi viene definito un “Tombarolo” e che da decenni effettua scavi alla ricerca dei tesori precolombiani.
Siamo inorriditi! Ci immaginiamo questo suolo sacro e vediamo la crudeltà di queste centinaia di scavi, ferite nella terra e nel rispetto di quelle persone, con il solo scopo di estrarre l’oro, spesso con l’obbiettivo di fonderlo per cancellarne le tracce.
Troviamo resti di mortai in pietra per la macinatura dei grani, troviamo resti di urne, a volte decorate con dei colori oppure incise in tanti simboli. Tutto è stato distrutto, devastato, l’urna veniva generalmente rotta per estrarre i resti che venivano buttati in una fossa fatta per l’occasione. Rinaldo ci mostra con fierezza i luoghi dove aveva trovato le urne più grosse, le collane più belle, l’ocarina di terracotta. Pochissimi pezzi sono custoditi nei musei mentre la maggior parte sono nelle ville di qualche ricco colombiano a Bogotà o negli Stati Uniti.
Il caldo, la delusione per l’avidità dell’animo umano, la devastazione che ci circonda ci pesano come un macigno. Per fortuna, un po’ facendo leva su Pablo che ha fame, riusciamo a porre fine a questa inconcludente visita del nulla e tornarcene sulla spiaggia.
Qui troviamo una canoa di legno costruita con tecniche arcaiche: le ordinate sono fatte di rami la cui curvatura è stata scelta con attenzione per sposare le linee dello scafo. Probabilmente resterà tra i ricordi più costruttivi di questa mattinata.
Rientrando a bordo veniamo ricevuti dai guardaparco che sostengono che sia appena stato approvato un provvedimento che vieta l’ancoraggio in tutte le baie del capo.
Ci sembra assurdo visto che si tratta dell’ormeggio più sicuro della zona. Parliamo della possibilità di mettere delle boe per preservare il fondale senza precludere alle barche la possibilità di fermarsi, ma per ora non c’è nulla di fatto e resta l’applicazione del provvedimento, quindi: dobbiamo andarcene!
Ci danno tempo fino a domattina: godiamoci queste ultime ore nella baia e prepariamoci a muovere.
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