sabato, ottobre 31, 2009

Una bella mattina!


Siamo rimasti al largo di Barranquilla, di fronte all’estuario del Rio Magdalena per tutta la notte.

Finalmente é giorno! I temporali col sole si stanno lentamente dissolvendo. La rotta verso Cartagena è ancora carica di lampi ma più sottocosta sembra in netto miglioramento.

Siamo molto stanchi ed abbiamo bisogno di dormire un po’...

Ad una quindicina di miglia c’è uno strano ancoraggio, Punta Hermosa che potrebbe andar bene per passarci la notte.

E’ uno strano ancoraggio perché le carte di una scala lo descrivono come un ridosso eccellente a forma di uncino, mentre cambiando in una scala di dettaglio si perde l’uncino e si trova solo una leggera protuberanza che offrirebbe un ben misero ridosso dalle onde del largo.

La zona ha fondali bassi e variabili, modificati continuamente dagli apporti del fiume, è disseminata di relitti e non promette nulla di buono. Procediamo cautamente confrontando la carta con i dati dell’ecoscandaglio avvicinandoci all’ancoraggio con rotta sud est.

Intravediamo una lingua di terra bassa ricoperta di qualche cespuglio. Non ci sono alberi di barche ad indicare la bontà dell’ormeggio e ci tocca farci strada da soli.

Proseguiamo e sembra che per una volta la carta buona sia proprio quella che indica il ridosso a forma di uncino.

Entriamo adagio e ci troviamo di fronte ad una grande baia ben protetta. Il lato nord è formato dal famoso uncino di terra bassa coperta di mangrovie al termine del quale inizia una grande spiaggia con evidenti strutture balneari ed il lato est, verso costa, sembra una collina svizzera ricoperta di un’erbetta verde curatissima con qualche bella villa qua e là.

Diamo fondo in tre metri d’acqua davanti alla spiaggia a sinistra della collina. Ci sono ancorate un paio di barche da pesca e sembra un posto tranquillo.

Finalmente! Ora un caffè, un pisolino ed un bel bagno per rimetterci in sesto per domattina.


venerdì, ottobre 30, 2009

Rio Magdalena

Siamo un po’ delusi mentre armiamo il tangone per la prossima traversata “difficile”.

Non ci sono altri ormeggi sicuri lungo la costa e quindi dobbiamo superare il Rio Magdalena, che viene descritto come un passaggio pericoloso per lo sue onde ripide e per gli innumerevoli oggetti galleggianti portati in mare dal grande fiume.

Una teoria sostiene che si debba attraversare la zona dell’estuario passando almeno 5 miglia al largo mentre l’altra dice che di deve assolutamente passare sotto costa. Sicuramente dipende dalle condizioni del mare.

Le due concordano invece nel dire che il passaggio vada effettuato di giorno per aver modo di vedere i pericoli galleggianti per evitarli.

Da qui il nostro essere “fuori Timing”. Pensando di fermarci a Taganga siamo partiti tardi ed ovviamente passeremo il fiume di notte. Fantastico!

La navigazione è gradevole. Mare poco mosso, vento 15 nodi, cielo velato così non si scoppia di caldo, tutto va benone!

Di fatto stiamo attraversando un’enorme baia e quando rivedremo terra a sinistra della prua, allora saremo vicini al fiume.

Verso fine pomeriggio l’acqua comincia a cambiar di colore ed una corrente contraria di due nodi ci fa percepire la prossimità dal fiume ben prima di aver avvistato terra.

Nei giorni scorsi non ci sono state grosse piogge e probabilmente non ci saranno troppi tronchi galleggianti a minacciare la nostra navigazione.

Cala il sole mentre siamo a poche miglia da Barranquilla: la città sorge sul fianco del fiume che é navigabile per 1600 chilometri ed ha un porto commerciale molto attivo. Così ci mettiamo anche il traffico navale a complicare la cosa. Navighiamo in un mare corto e ripido al gran lasco quando, proprio dietro di noi, comincia a strutturarsi una linea temporalesca scura e tuonante che si avvicina a vista d’occhio.

Ne seguiamo l’evoluzione al radar e non si presenta per niente bene.

3 Miglia, 2 miglia, 1 miglio all’impatto…manovriamo!

Difficile sapere cosa c’è sotto una linea temporalesca, vento a raffiche, pioggia, fulmini…roba brutta che meno dura meglio è.

Chiudiamo il genoa e mettiamo motore per manovrare contro la linea cercando di attraversarla nel suo punto più stretto.

Risaliamo contro vento con randa e motore e sommando la nostra velocità a quella della linea ne dovremmo uscire in una decina di minuti.

Sembra un’eternità! La barca sbanda sotto le raffiche violente mentre tutt’intorno un circo di lampi illumina il cielo. Sarebbe anche bello se non fosse così terrificante.

Lasciamo passare il temporale e ci rimettiamo in rotta dietro la linea. Pensiamo di essere tranquilli, ma nel giro di poco altre due linee temporalesche si uniscono alla prima provenienti da due direzioni diverse…Sarà mica un meeting di temporali?

Insomma, per farla breve questa robaccia si chiude a ferro di cavallo davanti a noi senza accennare a spostarsi e regalandoci uno degli spettacoli pirotecnici più grandiosi che abbiamo mai visto.

La distanza tra noi ed i temporali diminuisce man mano che avanziamo, segno che sono stazionari.

Non ci sono mai piaciuti i temporali e non ce la sentiamo di attraversarli.

Dirottiamo di nuovo contro il vento e contro il mare che nel frattempo si è ulteriormente ingrossato, con l’idea di attendere fino al via libera del cielo.

Motore a 1000 giri e randa bordata al centro, cercando di non avvicinarci troppo al fiume per non trovarci nella rotta delle navi in manovra e cercando di non scadere né troppo al largo né troppo sottovento per non entrare nell’arco temporalesco che ci circonda.

Credo che questa nottata ce la ricorderemo per un pezzo e che la Coast Guard potrà aspettare a lungo prima che si rifaccia zelo radiofonico.

Troppo buoni…troppo c…….!

Partiamo verso le nove con l’idea di passare il capo e raggiungere la baia di Taganga, un ancoraggio vivace con diversi bar, musica e birra fresca.


Navighiamo in poppa piena con mare calmo che è una meraviglia.

Dobbiamo passare un’isola che ha una lingua di bassi fondali che sporge verso Nordovest per oltre un miglio e che obbliga ad un lungo giro.

Attratti dalla bellezza del paesaggio e rassicurati dalle guide che danno un passaggio sicuro verso terra proviamo ad avvicinarci per vedere se ci si può arrischiare.

Chiudiamo il genova e procediamo a motore. Il passaggio a terra è bellissimo ma ci sono delle secche sul lato sinistro e diverse barche da pesca nel lato più profondo.

Avvicinandoci adagio vediamo un pescatore che ci fa segno di passare a prua della sua barca. La corrente è forte, ne vediamo i vortici intorno agli scogli. Passiamo su un fondale di 5 metri salutati cordialmente dai pescatori che temevamo di disturbare e invece ci accolgono con simpatia.

Avremmo voglia di fermarci ma l’ormeggio possibile è su un fondale roccioso e profondo. Meglio continuare.

Ci stiamo avvicinando alla città di Santa Marta dove c’è una sede della Coast Guard che chiamiamo per informarli della nostra presenza e per comunicargli l’intenzione di passare la notte a Taganga

Comunicare la propria presenza è un gesto al tempo stesso di sicurezza e di cortesia e ci aspettiamo un “No hai problema senor, bienvenido!”, come siamo abituati.

Invece ci dicono che non siamo autorizzati a trascorrere la notte nella baia e che vogliamo fermarci dobbiamo entrare a Santa Marta, contattare un’agenzia marittima e fare i documenti d’entrata.

Ennesima botta di burocrazia del costo di mezza giornata più un centinaio di dollari.

Ci mordiamo le mani per aver chiamato. Siamo stati troppo buoni!

Comunichiamo che stando così le cose proseguiamo diretti per Cartagena ed allora ci augurano buon viaggio e ci ringraziano per il contatto.

Si ma intanto ci tocca proseguire fuori timing. Tiriamo qualche moccolo a quello che ha scritto che la Coast Guard in Colombia è molto disponibile con gli yacht, che sono sempre a cercar di rendere servizio e che una volta informati della presenza della barca nelle acque territoriali si ha diritto a stare fino ad un mese navigando con la bandiera Q a riva ed a sostare ovunque si voglia.

NON E’ VERO!!!






giovedì, ottobre 29, 2009

Bahia Guayraca

Questa mattina ci siamo armati di scarpe, machete e repellente antizanzare ed insieme ad un gruppo di amici siamo andati a fare un giro nel bosco dietro alla baia in cui sussistono delle rovine precolombiane degli indiani autoctoni.

Accompagnati da Rinaldo, una guida locale che abita in una casetta sulla spiaggia, partiamo in spedizione. Siamo sul lato costiero del parco naturale di Tayrona, una distesa enorme di foreste e montagne popolata da scimmie nane, tigrilli, pappagalli, iguana ed altri animaletti esotici.

Ci addentriamo attraverso un sentiero che assomiglia un poco a quello dei nostri boschi di collina e cominciamo a capire che qui viveva un’importante comunità india che aveva un culto della morte alquanto particolare.

I morti venivano seppelliti adagiandoli su una sorta di piano inclinato in prossimità di un albero e ricoperti di terra. Durante la cerimonia funebre venivano, a seconda del loro ceto sociale, accompagnati da cibo, frutta e gioielli. Va ricordato che qui siamo nella zona del “El Dorado” e dei cercatori d’oro e fin dai tempi gli indios avevano sviluppato una grande abilità orafa.

Così venivano realizzati vari ornamenti con forme di animale e simboli sacri utilizzati in vita e rimessi al defunto durante la cerimonia.

Qualche anno più tardi i defunti venivano riesumati ed i resti raccolti in un’urna funeraria che veniva sepolta nei dintorni della casa.

L’urna conteneva gli ori e gli oggetti cari della persona.

E’ così che scopriamo che Rinaldo è quello che da noi viene definito un “Tombarolo” e che da decenni effettua scavi alla ricerca dei tesori precolombiani.

Siamo inorriditi! Ci immaginiamo questo suolo sacro e vediamo la crudeltà di queste centinaia di scavi, ferite nella terra e nel rispetto di quelle persone, con il solo scopo di estrarre l’oro, spesso con l’obbiettivo di fonderlo per cancellarne le tracce.

Troviamo resti di mortai in pietra per la macinatura dei grani, troviamo resti di urne, a volte decorate con dei colori oppure incise in tanti simboli. Tutto è stato distrutto, devastato, l’urna veniva generalmente rotta per estrarre i resti che venivano buttati in una fossa fatta per l’occasione. Rinaldo ci mostra con fierezza i luoghi dove aveva trovato le urne più grosse, le collane più belle, l’ocarina di terracotta. Pochissimi pezzi sono custoditi nei musei mentre la maggior parte sono nelle ville di qualche ricco colombiano a Bogotà o negli Stati Uniti.

Il caldo, la delusione per l’avidità dell’animo umano, la devastazione che ci circonda ci pesano come un macigno. Per fortuna, un po’ facendo leva su Pablo che ha fame, riusciamo a porre fine a questa inconcludente visita del nulla e tornarcene sulla spiaggia.

Qui troviamo una canoa di legno costruita con tecniche arcaiche: le ordinate sono fatte di rami la cui curvatura è stata scelta con attenzione per sposare le linee dello scafo. Probabilmente resterà tra i ricordi più costruttivi di questa mattinata.

Rientrando a bordo veniamo ricevuti dai guardaparco che sostengono che sia appena stato approvato un provvedimento che vieta l’ancoraggio in tutte le baie del capo.

Ci sembra assurdo visto che si tratta dell’ormeggio più sicuro della zona. Parliamo della possibilità di mettere delle boe per preservare il fondale senza precludere alle barche la possibilità di fermarsi, ma per ora non c’è nulla di fatto e resta l’applicazione del provvedimento, quindi: dobbiamo andarcene!

Ci danno tempo fino a domattina: godiamoci queste ultime ore nella baia e prepariamoci a muovere.

























martedì, ottobre 27, 2009

Notte di emozione

E’ improbabile riuscire a dare un’idea dell’emozione di questa notte. Siamo qui, tutti e tre. Pablo dorme sottocoperta, assolutamente a suo agio in mezzo a questo mare bianco di schiuma. Aquarius galoppa sulle onde alzando un baffo di prua che esplode in mille spruzzi che si illuminano di rosso e di verde al passare nel fascio delle luci di via.

Le stelle brillano forte come accade solo nelle notti di vento teso. Stacco il pilota e mi metto un poco al timone per sentire fino in fondo l’energia di cui siamo parte.
C’è una perfetta armonia tra la barca ed il mare e grazie ad Aquarius anche noi ci sentiamo al nostro posto in quest’ambiente ostile in cui un uomo senza la sua barca resisterebbe solo pochi minuti.
Abbiamo iniziato a rallentare calibrando la velocità per arrivare con la luce e sono fiero del timing perfetto quando… Enrica esce e mi dice “è troppo presto!”
Ma come? Guarda bene siamo precisi al minuto!
Ma no, sono le tre e ci mancano due ore per arrivare. Farà ancora buio!
Tranquilla, hai visto male sono le quattro. Entreremo col sole!
Attimo di panico. Abbiamo cambiato l’ora entrando in Colombia…ma non sul gps su cui sto facendo la navigazione.
Siamo troppo veloci!
Ammainiamo tutto ed issiamo solo la trinchetta. Dobbiamo frenare al massimo per evitare di avvicinarci a terra col buio e, come se non bastasse il cielo è coperto ed il sole non si farà vedere tanto presto.
Avanziamo comunque a cinque nodi facendo qualche bordo per allungare la strada. Siamo ormai a meno di due miglia dalla baia quando comincia ad albeggiare. Il paesaggio è strepitoso. Scogliere rocciose coperte di vegetazione appaiono attraverso una nebbiolina mattutina che rende tutto un po’ ovattato. Sopra di noi ci sono le Ande a 5000 metri di altezza. Sappiamo che le cime sono innevate ma purtroppo non le vediamo. Entriamo nella baia sotto forti willywaw, raffiche catabatiche dovute all’aria gelida che scende dalle montagne.
La baia Guayraca è verdissima e profonda, l’acqua riflette il colore della vegetazione, qualche costruzione di lusso s’inerpica sulla sponda ovest e tutto in fondo un gruppo di una decina di case modeste lungo la spiaggia grigia.
Diamo fondo in sette metri d’acqua e mettiamo su il caffè.
Per un po’ restiamo incantati davanti a questo posto in cui si respira un’aria d’altri tempi e lo immaginiamo con i galeoni ormeggiati esattamente dove siamo noi. Che dire?
Siamo felici di essere qui e curiosi di scoprire ancora una volta dove siamo arrivati.




















lunedì, ottobre 26, 2009

Verso il Capo Horn…dei Caraibi!

Abbiamo trascorso la giornata di ieri a bordo a fare qualche lavoretto per prepararci ad affrontare il tratto più duro della nostra navigazione fino a Cartagena: il Capo delle Cinque Baie!
Un gioco di correnti unito alla tipica accelerazione del vento attorno ai capi, il fondale che risale bruscamente da 2000 metri fino a 300, il tutto amplificato dalla vicinanza della Cordigliera delle Ande, crea un cocktail deflagrante che vale a questa zona la reputazione di essere uno cinque passaggi più difficili al mondo.

120 miglia ci separano dalle Cinque Baie. Partiamo verso le 11 del mattino con un bel vento da est 20 nodi e cielo terso. La costa colombiana scorre veloce sulla nostra sinistra ma la nostra rotta diretta sul capo ci porta rapidamente fuori vista. Siamo in poppa piena. Ormai ci abbiamo preso l’abitudine e devo dire che con il nuovo tangoncino gestiamo la manovra in tutta serenità.
Le previsioni danno, come al solito in questa zona, una bolla di accelerazione di vento e mare e ben presto ci troviamo nel mezzo di onde frangenti con 30 nodi stabili.
Quando l’onda colpisce la poppa di Aquarius precisamente a 180°, la barca si solleva dolcemente per poi ridiscendere nel cavo dando solo una leggera accelerazione al passaggio sulla cresta. Qualche onda ci prende più al giardinetto facendo inclinare la barca e spingendola all’orza. A questo punto l’accelerazione risulta più potente ed inizia una planata in cui l’onda e la pala del timone fanno braccio di ferro e dove l’assetto delle vele determina la capacità di evitare una straorzata.
E’ una meraviglia vedere tutti questi elementi suonare la stessa melodia silenziosa in perfetta sincronia sotto l’attenta direzione del pilota automatico.
Navighiamo ormai da un paio d’ore ad una media di 9 nodi. La canna da pesca è a riposo! Un grosso pesce a questa velocità strapperebbe tutto. Abbiamo le due rande con una mano bordate una a dritta e l’altra a sinistra ed il genova tangonato a sinistra. La nostra velocità di reazione in questa andatura è di almeno un paio di minuti quindi niente pesci.
Verso sera passiamo al largo di Riohacha dove le carte riportano la presenza di una piattaforma petrolifera. La nostra rotta passa un paio di miglia a nord e dovremmo essere tranquilli.
A un certo punto vediamo la piattaforma dritta di prua. Non dovrebbe essere là! Guardiamo col binocolo e scopriamo due piattaforme, quindi una non segnalata.
E’ parecchio scomodo. Dobbiamo accostare di una decina di gradi per allontanarci e dovremmo strambare di randa per metterci al gran lasco. Decidiamo di metterci al limite di sgonfiamento della randa per manovrare in fretta. Tutto procede bene finchè un’onda più grande delle altre ci colpisce spingendo la poppa verso sinistra. La randa di trinchetto si mette a collo per un istante poi parte a tutta velocità verso l’altro bordo. UUUrrrrcaaa!! Che botta!
Si è spaccato il bozzello della ritenuta del boma, ma sembra essere l’unico danno. Passiamo la piattaforma al tramonto e ne vediamo tutte le luci accendersi via via. E’ incredibile pensare che un centinaio di persone vivano e lavorino qui, in mezzo al mare. Ora molti staranno guardando questa barca a vela che fila verso il sole.






















sabato, ottobre 24, 2009

Il villaggio

Mentre ci avviciniamo alla spiaggia ci accorgiamo che tutte quelle capanne sono in realtà dei ripari dal sole e dal vento…una sorta di ombrelloni sulla spiaggia.
Arriviamo a terra accolti da una manciata di ragazzini. Il più grande ci fa un sacco di domande sulla navigazione, sull’oceano, sulla barca. Poi si offre di sorvegliarci il gommone??!! Si ma sorvegliarlo da chi? Ci dice che il posto è tranquillo e che nessuno ruba niente…ma allora perché sorvegliare?
Sono giusto degli interrogativi, ma siamo ben lieti di affidargli l’incarico.

Ci addentriamo nel villaggio quasi deserto e via via che camminiamo vediamo aprirsi porte e finestre, le persone escono e cordialmente ci salutano.
Il villaggio è composto da una strada in terra delimitata sul lato interno da tante casette, quasi tutte in legno e solo tre o quattro in mattoni. Molte hanno una terrazza ed ognuno a suo modo si è inventato un’attività, barettino, ristorante, friggitoria, alimentari, ci sono anche tre farmacie…tutte chiuse a tempo indeterminato. Notiamo comunque una grande attenzione nel rendere graziose le modeste costruzioni, tutto il villaggio è pulito è c’è perfino un abbozzo di raccolta differenziata.
Sul lato a mare ci sono quelle capanne che vedevamo ieri mentre ci avvicinavamo. Sono centinaia e vengono affittate ai turisti nel periodo natalizio. Sono fatte di strisce di cuore di cactus legate tra loro con della corda estratta dai pneumatici e ci dicono che sono resistentissime.
Un gruppo di donne indie Wayùu che abitano la regione tesse borse e cappelli colorati. Proviamo a scambiarci due parole ma sembra che lo spagnolo non sia proprio la loro lingua e ci limitiamo ad una basica chiacchierata.
Sembra una di quelle scene polverose dei villaggi di cercatori d’oro. Un pullman nuovissimo attraversa il villaggio senza fermarsi.

















venerdì, ottobre 23, 2009

Cabo de la Vela

Salpiamo presto per arrivare prima di pranzo al Cabo de la Vela…che se si chiama così una ragione ci sarà. Infatti navighiamo con vento teso in poppa lungo la costa arida e disabitata. Il paesaggio è desolato ma di una desolazione bella, armonica con colori che spaziano nelle tonalità tra il giallo ocra ed il marrone chiaro. Il mare resta opaco anche al largo e fa un certo effetto navigare a 9 nodi in un acqua marrone assolutamente impenetrabile.

Il cabo termina con un’isoletta ma i fondali sono riportati franchi nel passaggio a terra. Doppiata la punta ci troviamo davanti ad una baia immensa con una spiaggia fatta ad arco lunga almeno 4 chilometri. Ci sembra di vedere una miriade di capanne sulla spiaggia. Sono tutte ben allineate, tutte uguali con il loro tetto a due falde rivestito da foglie di palma.
Il fondo decresce lentamente verso la spiaggia e decidiamo di dar fondo la dove la batimetrica dei 5 metri passa più vicino alla riva.
L’ancora saltella per un po’ e ci tocca riancorare. Al secondo tentativo prende bene e la diamo per buona. Il fondo è formato da lastre di corallo inframmezzate da sabbia. Quanto di peggio ci possa essere per metterci un’ancora.
Bene, qui mi sa che ci resteremo qualche giorno ed allora mettiamo in acqua il gommone e ci prepariamo per una gita a terra. Si, ma domani però!













giovedì, ottobre 22, 2009

Ensenada Honda….Colombia!

Il vento tiene, anzi aumenta fino a 25 nodi e viaggiamo a 7.5 nodi al gran lasco sotto un cielo stellato che toglie il fiato.
Navigare al gran lasco con Aquarius è una cosa fantastica. La barca è veloce e stabile, leggermente sbandata sottovento. La teniamo al limite di sgonfiamento del genoa con la scotta passata in una pastecca all’estremità del boma. Il mare è ricchissimo di plancton e la scia resta luminosissima di migliaia di puntini fosforescenti che si perdono nel blu della notte.

Verso le due del mattino arriviamo al punto di cambiamento di rotta a nord dei Monaci, strambiamo di randa e tangoniamo in poppa.
Navighiamo in rotta diretta verso il primo ormeggio colombiano, Baia Honda. Alcuni dicono che è impraticabile e con poca profondità ma le nostre carte danno un buon dettaglio ed a parte un paio di pericoli all’entrata, tutto sembra a posto. In mare non incontriamo nessuno e navighiamo in una zona considerata impraticabile fino a qualche anno fa. Certo che fa una bella emozione.
Ecco, avvistiamo costa, ci avviciniamo con le antenne ritte in testa. Qui i segnali di navigazione semplicemente non esistono. Un grande banco du stenelle maculate ci dà il benvenuto.











Sono cira le 11 del mattino quando entriamo attraverso la bocca rocciosa che protegge questa grande baia dalle onde del mare aperto. Soffia un vento teso ed entriamo sotto velatura ridotta: trinchetta e maestra con gli occhi incollati allo scandaglio ed al gps. L’acqua è torbida e non è possibile stimare la profondità a vista. Navighiamo controllando la corrispondenza tra la carta e lo scandaglio e sembrq che i dati siano affidabili. Le batimetriche coincidono perfettamente. Arriviamo al punto di ancoraggio, ammainiamo la trinchetta e diamo fondo all’ancora. Eccoci in Colombia!
Il paesaggio è lunare, le rocce gialle si fondono con grandi dune sabbiose e sulla parete rocciosa in fondo alla baia s’intravedono degli arbusti incurvati dal vento.
Il riparo è buono ma il vento lo rende poco ospitale. Alcune persone si sono arrampicate su una collinetta poco distante per guardarci. Non devono passare molte barche quaggiù. La carta mostra un villaggio poco lontano, probabilmente saranno già tutti informati del nostro arrivo.
Una rudimentale barca a vela ci accosta, due uomini ci salutano in spagnolo ma poi riusciamo a fatica a comunicare. Probabilmente parlano il loro dialetto ed il nostro castigliano deve suonargli un po’ incomprensibile.
Ci dicono che sono pescatori di scampi e che la baia ne è piena durante la stagione ventosa…ora ci saranno 30 nodi. Ma quanto azz di vento c’è in stagione???
Uno ha un bimbo di un anno e gli regaliamo un paio di magliettine di Pablo. Non devono trovare molte cose al villaggio.
Ci sentiamo osservati ma sembra tutto a posto. Rimaniamo in campana ma ci sentiamo tranquilli e ci prendiamo il nostro meritato riposo.